FRATTAMAGGIORE. Paolo Borsellino, in pochi lo ricordano, 26 anni ancora senza verità – depistaggi e tradimenti.

Ve lo ricordate Paolo Borsellino? La sua foto, sorridente con Giovanni Falcone? La prima volta che ho accennato il suo nome, uno studente di una scuola ha alzato la mano e ha detto: “E’ un calciatore?”. Addirittura uno studente del liceo mi ha confuso Giancarlo Siani con Alessandro Siani. E don Peppino Diana per sentito dire. Nel libro di storia di quinta non se ne parla: alla primaria la storia si ferma ai romani. A dire il vero, avevo sperato, che vi fosse un accenno a questi due magistrati nel sussidiario di geografia, nel capitolo sulla regione Sicilia. Mi son sbagliata. Eppure magistrati come loro, mi ricordano solo Nicola Gratteri e Nino Di Matteo, sotto scorta da sempre. Nei tribunali vengono ricordati solo in alcune città. E voi, studenti del liceo dall’altro canto, che ne potete sapere di questi due uomini massacrati da una strage, il 23 maggio e il 19 luglio 1992. Voi siete nati nell’anno in cui Saddam Hussein veniva accusato di crimini di guerra, siete arrivati a scuola con il volto di Berlusconi da presidente del Consiglio sullo schermo.
Sicuramente qualcuno di voi, nato nel 2004, è stato allattato mentre mamma guardava alla Tv la storia di quel giudice ucciso in via D’Amelio, interpretata da Giorgio Tirabassi. Forse nessuno, prima del vostro maestro, vi ha mai parlato di Borsellino e di Falcone. Probabilmente com’è accaduto a chi oggi vi scrive, nessuno vi ha mai raccontato chi erano quei magistrati che per la prima volta avevano osato parlare di mafia e politica. Nessuno vi ha fatto vedere le immagini che scorrevano sullo schermo delle nostre televisioni, trasmesse da via Mariano D’Amelio. Fino ad allora quella strada era solo un luogo alla periferia di Palermo, non troppo lontano dal carcere dell’Ucciardone. Improvvisamente ci siamo trovati parte della storia, tutti ci sentivamo siciliani. Il giorno dei funerali degli agenti di scorta, simbolicamente c’eravamo anche noi a gridare con i palermitani “Fuori la mafia dallo Stato”, mentre il presidente Oscar Luigi Scalfaro, a fatica, provava a farsi strada nella cattedrale. Urlavamo tutti, alzavamo la testa. Non volevamo stare zitti.
Quel 19 luglio di ventisei anni fa, forse non cambiò la storia del Paese (come sostengono molti) ma cambiò ciascuno di noi. Nessuno ha mai più dimenticato dov’era, cosa stava facendo in quell’istante in cui la Tv trasmetteva i fotogrammi di quelle autoblindate distrutte, di quella palazzina bruciata, di quei corpi riversi sull’asfalto. Il suono delle sirene che arrivava nelle nostre case, nelle casse della nostra autoradio, non se n’è mai più andato. Quelle morti fecero cambiare strada a molti di noi. Qualcuno dei vostri genitori scelse di iscriversi a Giurisprudenza proprio all’indomani di quel 19 luglio 1992. Ci ritrovammo tutti a pensare che non potesse essere stata solo la mafia a compiere quelle stragi. Tutto d’un tratto ci accorgemmo che lo Stato ci aveva tradito. Eppure a scuola ci avevano insegnato che “lo Stato siamo noi”.
In questi anni ci hanno parlato di trattative, di un’agenda mai trovata. In via D’Amelio Totò Cuffaro,posò una corona di fiori. In quella strada Silvio Berlusconi, andò a suonare al citofono della sorella di Paolo Borsellino, per chiederle: “Come possiamo combattere la mafia?”. Ogni 19 luglio ho visto uomini diversi ma con la stessa giacca e cravatta, fare la passerella: Walter Veltroni, Dario Franceschini, Ignazio La Russa, Gianfranco Fini. Quest’anno ne vedremo altri. Tutti a promettere verità.
Cari ragazzi, vorrei potervi raccontare un’altra storia, un altro finale. Ma non è andata così. Oggi, quei fatti che hanno rivoluzionato le nostre esistenze, non possono essere letti da voi con la freddezza con cui studiate le date della prima e seconda guerra mondiale, ripetendole a quei professori “insipidi” che desiderano solo che voi conosciate senza sapere. Siete voi, i figli di quella storia. A voi dobbiamo insegnare a nascere il 19 luglio.